I kuTso, vincitori del Premio Speciale Mei nel 2010, a Miami : diario di viaggio dal 6 al 10 novembre con Caparezza
Diario di viaggio: KUTSO a Miami
6 – 10 novembre 2014
Giorno 1
Dopo un “viaggio della speranza” durato circa 14 ore, arriviamo finalmente a Miami devastati dal fuso orario e dall’aria condizionata del volo. Ciò che ci salta subito agli occhi sono i colori: la zona dell’aereoporto immersa tra le paludi tende ad un giallo ocra che in qualche modo ci ricorda che siamo più vicini all’equatore. Nel tragitto verso l’albergo, tramite una delle famosissime ed enormi highway americane, notiamo il contrasto tra le automobili di lusso che in grande quantità sfrecciano sulle strade e le “banlieu” intorno, sporche e decadenti, che sottintendono a condizioni di vita non certo da sogno americano. L’albergo che ci ospita è situato a North Bay sul mare e proprio sul confine tra la periferia “brutta” e lo sfarzo di Miami Beach con le sue famosissime palme, le villette perfette con giardino e garage, e le “foreste” di grattacieli.
Mangiamo gamberi fritti e hamburgers supersize nel ristorante dell’hotel e sfiniti ci addormentiamo nelle nostre camere comode e spaziose, pronti per il giorno successivo che ci servirà per smaltire ulteriormente il jetlag prima dello show dell’8 novembre.
Giorno 2
Vaghiamo a piedi per Miami Beach come i tanti turisti che affollano le strade nel caldo di quella che sembra la nostra estate. Arriviamo al mare sulla celeberrima spiaggia di Miami, bianchissima, lunghissima e pulitissima. Anche l’acqua è limpida nonostante i grattacieli siano prospicenti al mare. Mancano le classiche tettone di “Baywatch”, ma mancano anche i ciccioni obesi e gli enormi palestrati, ovvero la loro quantità non è superiore a quella delle nostre spiaggie: tutto sommato gli americani di questa parte della Florida sono più o meno come gli altri esseri umani del globo, mentre noi ci aspettavamo di vedere molta più ipertrofia in giro per le strade.
Le persone sono gentili e miti, spesso ti sorridono senza un motivo preciso. Lo spagnolo sembra la lingua dominante e anche tutte le scritte sui cartelli stradali e negli autobus hanno la doppia traduzione Inglese/Spagnolo. Passiamo il giorno a bere cocktails e camminare per South Beach, finché non ci rifugiamo in un ristorante cubano dove mangiamo delle pietanze estremamente saporite e sicuramente ipercaloriche. La sera finalmente incontriamo Caparezza, il suo entourage e Francesco Del Maro di Hitweek in albergo e ci rechiamo tutti insieme al Fiat Store di Miami. Qui si svolge un incontro con gli organizzatori dell’evento, il consolato italiano e alcuni italiani residenti in Florida che esportano il made in Italy in terra americana. Anche in questa occasione, come durante la nostra prima apertura a Caparezza a Rock In Roma, abbiamo potuto constatare l’estrema disponibilità e tranquillità dell’artista pugliese con cui ci siamo piacevolmente intrattenuti a chiacchierare di musica, manga giapponesi e del tour europeo/americano che si è concluso proprio con la data di Miami.
Giorno 3
Finalmente il giorno del concerto! Il luogo dove si svolge lo show è il North Bandshell, un’arena pubblica molto caratteristica e ben equipaggiata. Prima del soundcheck facciamo un’altra “puntatina”al mare, dove uno strambo signore vestito da “Ghostbuster” sotto il sole cocente cerca, armato di metal detector, monete e oggetti di valore nascosti nella spiaggia. Il soundcheck dura tutto il pomeriggio; ciò ci permette di conoscere meglio anche il resto della band di Caparezza ed i suoi tecnici, tutti persone splendide e alla mano che hanno l’aria di essere una grande famiglia. In effetti si conosco tra loro da moltissimi anni. Si respira un’aria rilassata e di festa che ci trasporta con serenità verso l’ora dell’esibizione.
Il nostro chitarrista Donatello si appresta pochi minuti prima di salire sul palco alla sua consueta vestizione: questa volta per omaggiare la città di Miami Beach si è vestito da Hulk Hogan, noto wrestler originario di Miami.
Inizia lo show di fronte ad un pubblico misto di italiani in vacanza, italo americani emigrati e americani autoctoni. La risposta degli astanti è calorosa, noi per circa un’ora facciamo in effetti un bel concerto e riusciamo a comunicare tra una canzone e l’altra in un inglese sufficiente a farci capire e a invitare i presenti a fare tutti quei giochini col pubblico che di solito intraprendiamo anche in Italia. Alla fine dello show salutiamo il pubblico contenti e coscienti di aver seminato anche in America.
Appena usciti dal palco incontriamo Caparezza e il suo tourmanager che si complimentano vivamente con noi rendendoci felici ed appagati con un costante sorriso ebete sulle nostre facce. Lo show di Caparezza è estremamente d’impatto nonostante manchi tutta la scenografia del tour di Museica; Capa salta da un punto all’altro del palco, comunica col pubblico in un ottimo inglese e interagisce con gli altri membri della band creando scenette divertenti ed ironiche. la gente è totalmente coinvolta e per un attimo ci dimentichiamo di essere in America. Finito il concerto, dopo aver salutato e ringraziato Capa e gli organizzatori dell’evento ci siamo concessi una serata di follia senza senso in giro per le strade di Miami, aiutati, bisogna dirlo, dai fumi dell’alcool.
Giorno 4
Sarebbe dovuto essere il giorno di svago totale postconcerto ed invece il maltempo ha portato una pioggia costante che ci ha costretti a limitare i nostri spostamenti, ma non ci ha impedito comunque di visitare una serie di luoghi caratteristici della città come l’arena dell’N.B.A. , l’immancabile Hardrock café e il caratteristico ristorante di Bubba Gump ispirato al film Forrest Gump. La sera ci siamo divisi: chi ha mangiato messicano rischiando la morte per soffocamento dovuto ai peperoncini letali, chi invece ha concluso la serata come un americano D.O.C. ovvero in un pub con tavoli da biliardo, birra a fiumi, hamburgers al colesterolo e partita di football americano in tv.
Giorno 5
Tristemente ci accingiamo a ripartire per l’Italia, ma non prima di aver fatto visita alla casa di “Dexter”, luogo dove si svolge la nota fiction.
Soddisfatti, stanchi morti, ma pronti per imperversare nuovamente sui palchi della nostra Italia, prendiamo l’aereo e salutiamo questa parte d’America che, nonostante i nostri pregiudizi antiamericani, ci ha accolti con calore e umanità. Unico neo di questa esperienza è la letale aria condizionata presente in qualsiasi luogo pubblico, che ti costringe a portarti dietro la giacca anche quando per strada ci sono 30 gradi.