Campus MEI: In-Formazione Musicale // “No Review” – La terza guerra mondiale è arrivata: la portano gli Zen Circus
Che la provocazione fosse nel sangue degli Zen Circus lo si sapeva già. Ma che questa provocazione iniziasse a piacere a sempre più persone, questo no, non ci avevano pensato Andrea Appino e soci quando hanno scritto e registrato “La terza guerra Mondiale”, il nuovo album uscito a settembre.
Eppure è così, anche perché in un momento in cui le nuove band indie vogliono fare a gara a chi è più indie, gli Zen Circus sembrano aver trovato un certo equilibrio, anche se magari non lo hanno studiato a tavolino, fra scrivere musica creativa e catturare un maggior numero di persone, che magari qualcuno chiamerà mainstream, ma siccome è una parola inventata che a parere di chi scrive non significa nulla, diciamo che adesso in molti si stanno accorgendo dei tre pisani rockkettari (spero si scriva così).
Il punto è questo: E’ già iniziata la terza guerra mondiale o ancora deve arrivare? In attesa di questo evento, c’è la prima canzone, che dà il nome al nuovo disco degli Zen Circus, che prova a raccontare come potrebbe essere la situazione: caldo innaturale, riscaldamento globale, “certo moriremo tutti , ma in infradito e bermuda”, anche se un po’ buffo, sembra proprio un futuro non certo roseo quello raccontato da Appino, autore, come al solito dei testi.
Se poi mettiamo anche i dissidi interiori di “Ilenia”, il racconto del futuro bellico che ci aspetta diventa molto incasinante e decisamente stordente, nonostante il punk rock orecchiabile che però tocca le note più malinconiche, quelle del disagio esistenziale tipico di chi vive una crisi interiore.
A proposito di disagio, in questo nuovo album di Appino, Ufo e Karim Qqru, c’è una riflessione dissacrante di Pisa, la città dei tre ragazzacci, che adesso però hanno abbandonato (solo Ufo è rimasto, Appino vive a Livorno). “Pisa Merda”, infatti, è uno sprezzante ritratto di una città una volta piena di fascino e che adesso è sequestrata dagli universitari e dal turismo di massa. Anche in questo caso il punk rock domina la traccia, dove però in questo caso emerge contemporaneamente l’amore e l’odio per un luogo evidentemente importante per i tre.
“L’anima non conta” entra e non esce più dalla testa. Le sue parole, l’arpeggio della strofa, le immagini che escono sputate dalla voce disperata di Appino che con un ritmo “filo – rap” penetra la mente e la stomaco. Questa, che a parere di chi scrive è la più bella canzone del disco, è una traccia importante che, anche se musicalmente risulta leggermente slegata dal filo punk seguito nel resto del disco, rappresenta al meglio la nuova versione della band.
Forse se leggesse Appino quello che sto scrivendo su “Non voglio ballare”, verrebbe qui a massacrarmi di botte e lascerebbe la musica a tempo indeterminato e proverebbe la carriera di ragioniere. La canzone possiede un lontano eco del primissimo Vasco Rossi. Sarà la sgranata alle note alte, saranno le chitarre più dolci in secondo piano, sarà l’ennesimo e mai noioso racconto di provincia, ma c’è il primo Vasco in questa traccia.
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Fabrizio De Angelis