Chemical Blues è il nuovo album di Slowmother recensito da Marcello Zinno, direttore di Rockgarage.it
Autore: Slowmother | Titolo Album: Chemical Blues |
Anno: 2015 | Casa Discografica: Autoproduzione |
Genere musicale: Indie Rock, Rock Blues | Voto: 7 |
Tipo: EP | Sito web: https://soundcloud.com/slowmother |
Membri band:
Alessio – voce, chitarra Grace – batteria, cori Pietro – basso |
Tracklist:
1. Liar 2. Chemical Blues 3. Drugs 4. Mr. Whoo Hoo Yeah 5. Lipstick 6. The City Of Taste 7. Queen 8. Outlaw 9. My Grave 10. 20 Years 11. Too Late Jesus |
Gli Slowmother ci avevano già colpiti con il loro EP d’esordio e da poco tornano sulla scena rock con Chemical Blues un album vero e proprio, in cui la maturità (almeno quella musicale) del combo si può toccare con mano. Gli Slowmother sono come una torta fatta a strati in cui ciascun piano ha un sapore diverso: a vederli a primo acchitto danno l’idea di un power trio grezzo, sudicio rock’n’roll fatto di sudore e attitudine; poi si passa ad ascoltare il loro sound e si intravede una natura elettrica e per certi versi raffinata, tutt’altro che istintiva (come nella titletrack che presenta un lungo intermezzo strumentale dalle tinte multiformi); infine prestando attenzione si possono collocare direttamente accanto a molte indie rock band inglesi. Su quest’ultima visione i ragazzi sembrano adagiarsi più spontanemente, infatti già alcune influenze si percepivano nella precedente omonima uscita e anche qui gli effetti applicati alla voce e alla chitarra creano quel tipico mood “rock britannico” che si è fatto spazio (circa una decina di anni fa) tra le classifiche di tutto il mondo. Ma gli Slowmother non sono solo questo visto che in Mr. Whoo Hoo Yeah collocano un rock blues in stile ZZ Top incluso l’affascinante assolo, un blues che viene riopzionato in The City Of Taste, un pezzo dal sapore fortemente settantiano e in 20 Years.
Quindi niente piede fisso sull’acceleratore, gli Slowmother si concentrano su chitarra e voce e creano delle buone colonne portanti, melodie ma con un spirito cattivo, il tutto condito da una sezione ritmica che gioca ottimamente la propria partita. In alcuni frangenti perdono un po’ mordente, come in Outlaw o in My Grave in cui scompare quasi tutta la loro attitudine, ma in altri passaggi, come Liar, tengono alta la bandiera del rock e si elevano a realtà valida ben oltre i confini nazionali. Seppur l’indie rock, inteso nella sua accezione UK, sembra essere passato di moda, noi premiamo gli Slowmother che realizzano un album ben pensato e ben suonato dimostrando di fregarsene delle mode e di concentrarsi solo sul proprio stile.