Campus MEI: in-formazione musicale // Dal blog di Pasquale Rinaldis – Mary in June e il loro grande ‘Tuffo’ d’esordio tra Grossman e allucinazione.
Si definisce “band da calci in faccia e in pancia”, anche senon sono affatto dei ragazzi violenti: sarà per questo che Giorgio Canali, già musicista nei Cccp e Csi, ha deciso di produrre i romani Mary in June. Qualcosa di buono deve averla intravista in loro. A 5 anni dal loro primo Ep Ferirsi, e dopo 4 “passati a scartare canzoni e a metterci in discussione”, per i Mary in June è giunto il momento di fare il grande salto. O meglio, il grande Tuffo, come il titolo scelto per il disco d’esordio: 10 brani, che sono un flusso emotivo fatto di immagini allucinate e allucinanti, che esplora la loro personalissima provincia dell’anima.
E il merito di Canali è quello di aver reso meno acerbe e meno complesse le loro scelte, stilistiche e non. “Con le nostre canzoni raccontiamo emozioni scaturite da esperienze vissute – affermano –. Alcuni brani affrontano temi seri, come Costole in cui si parla di migranti, o Confini scritta pensando a Israele e Palestina”. Altri testi, invece, sono di denuncia sociale, che svelano la loro anima ecologica e salutista, come Combustibile brano contro l’uso dell’aspartame. Il tutto su una musica che definirla punk è esagerato, di matrice emo-folk offensivo.
Mi spiegate innanzitutto il significato del vostro nome?
Trovare una risposta valida a questa prima domanda è stato complesso, ma poi siamo giunti alla conclusione che il significato diMary è sospeso nella forma, cioè Maria a giugno cosa fa? Ci siamo soffermati a pensare al nome e siamo rimasti stupiti da quanto, in realtà, riesca a tenerci appesi e ansiosi di sapere cosa c’è dopo, quale sarà la prossima azione di questa donna durante quel mese colorato e inebriato dai primi profumi estivi. Vorremmo conoscere le evoluzioni, ma non possiamo, perciò viviamo trasportati dal sole e dalla casualità.
Come mai avete scelto di chiamarvi così?
La scelta del nome è stata del tutto casuale; è preso da un brano dei Victory at sea, ma si intonava alla perfezione con ciò che stavamo pensando di registrare e abbiamo deciso di adottarlo.
Di cosa parlano le vostre canzoni?
Di base il concept è quello di trasmettere un disagio emotivo che si trasforma fuori dalle proprie case in disagio urbano e quindi di contesti, persone e scelte politiche. Cerchiamo di raccontare e suonare ciò che proviene dalle nostre esperienze e soprattutto dalle nostre emozioni. Non ci piace molto dare spiegazioni delle tematiche che affrontiamo sulle canzoni, non per presunzione o altro, ma perché è interessante che ognuno abbia la sua personale interpretazione. Ci dispiacerebbe deludere l’ascoltatore che magari aveva tutt’altro immaginario.
Affrontiamo comunque varie tematiche, alcune riguardano l’aspetto ambientale, siamo interessati all’evoluzione o involuzione che sta avendo il pianeta, ci piacerebbe vedere un mondo che faccia uso di sole energie rinnovabili e che rispetti l’ambiente. Ferirsi, il primo nostro disco/ep era intitolato così per questo, sembra che a volte l’uomo non riesca o non voglia davvero volersi bene, e fa di tutto per rovinare l’ambiente circostante. Parlando invece di Tuffo, alcuni brani affrontano invece la tematica dei migranti, dei conflitti più cruenti su questo pianeta, altre invece sono canzoni di denuncia sociale.
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