Campus MEI: in-formazione musicale // Doc Indie: Cantastorie è semplice.
La semplicità è il segreto di ogni buon cantastorie. La semplicità delle parole scelte e delle immagini da esse evocate. Senza stare a tirare in ballo “mostri sacri” – per loro ci sono già fior di autori che scrivono libri – basterebbe guardarsi intorno per beccare un paio di parolieri della canzone che hanno lasciato il segno negli ultimi vent’anni con la loro diretta e universale semplicità. Max Pezzali e Cesare Cremonini sono senz’ombra di dubbio i due cantastorie più pop(olari) che mi vengon in mente e lo sono, mi ripeto pur non amando ripetermi, perché hanno fatto del linguaggio corrente, quello semplice che si parla nei bar e nelle strade, il loro marchio distintivo. Forse non saranno i migliori artisti di questo mondo, questioni di punti di vista, ma di fatto sono nel panorama nostrano i più efficaci. Ogni loro canzone contiene un nucleo di parole capace di entrare nella testa anche se il mood sonoro è lontano le mille miglia dal gusto di chi ascolta. Le loro scelte lessicali “terra a terra” in un modo o nell’altro ci appartengono. Frasi e ritornelli che chiunque avrebbe potuto pronunciare e scrivere. In qualsiasi luogo e/o situazione. <Appoggiati al tavolino di un bar/scopro che oltretutto sei anche simpatica> oppure <andiamo a vivere su Marte oppure a Rimini sul mare/per vedere le ragazze farsi male>. Non c’è nulla di complicato, converrete. Non ci sono paroloni tantomeno concetti altisonanti: tutto scorre liscio & semplice come nella quotidianità. Quindi se ne deduce che l’arte del cantastorie risiede nella semplicità e che da questo dono, la semplicità, appunto, dipende il successo.