Campus MEI: in-formazione musicale // Doc Indie – quando la musica guardando indietro per reinventarsi diventa fusion ed ecletticamente pop
L’ultimo e più recente caso del sassofonista statunitense Kamasi Washington – assurto agli onori della cronaca per le collaborazioni con Kendrick Lamar – è la conferma di quanto espresso nel titolo di questo nuovo intervento. Mi direte voi, le note sono quelle e si è già detto/suonato tutto. Già! Ma mi preme dire che in certi casi il processo di riappropriazione del passato sonoro sfugge a qualsiasi legge discografica per innestarsi in una dinamica profonda e a lungo raggio che altro non è che il carburante stesso della creatività. L’arte di “rubare” e rimescolare gli elementi di colleghi d’altronde ha fatto storia con Warhol diventato, che vi piaccia o meno, POP. E forse proprio dall’appetito onnivoro del POP che Kamasi Washington ha tratto l’unica lezione che davvero conta: la cosa più importante è l’interpretazione e/o la reinterpretazione di un genere piuttosto che il genere stesso. Prima di Kamasi Washington e del suo monumentale The Epic il genere della fusion – possiamo, se preferite, chiamarlo anche soul-jazz o funk-jazz – aveva già scritto pagine memorabili a partire da Miles Davis e dai Weather Report fino ad arrivare a JazzMatazz di Guru, a Buckshot LeFonque di Branford Marsalis e DJ Premier e ai californiani Pharcyde ma non ha quasi mai pedissequamente ripetuto se stesso. Ad ogni capitolo gli artisti coinvolti aggiungevano nuovi elementi e, di fatto, ridavano ossigeno al genere. Oggi come ieri il collage sonoro etichettato come “fusion” continua a infrangere i muri che dividono scuole e generi avvicinando alla sfumature più insolite della musica nuove generazioni di ascoltatori. Chi più, chi meno tra quanti finora citati – molti ne ho dimenticati – ha, a suo modo, saputo essere POP(ular) vincendo il conservatorismo settario che relega noi pubblico a fossilizzarci su pochi nomi o, ancora peggio, a perderci in infatuazioni passeggere dettate dalle ultime mode. Solo non vergognandoci di essere anche noi POP riusciremo a salvare la musica. Kamasi Washington ci è riuscito. Ma sappiate che non è l’unico! La prossima volta potrebbe toccare proprio a voi. Chissà?