David Byrne: piu’ trasparenze nella distribuzione delle risorse dallo streaming
In un articolo scritto per il New York Times, David Byrne ha riflettuto sulle moderne tecnologie di fruizione musicale, denunciando pregi e difetti del sistema. «Questo dovrebbe essere il momento migliore in assoluto per la musica», ha esordito l’ex Talking Heads. «Il fatto che le persone paghino per i servizi di streaming musicale è una buona notizia. In Svezia, Paese in cui è nato, Spotify ha salvato l’industria musicale compromessa dalla pirateria […]. Tutti dovremmo festeggiare, ma molti di noi, cioè chi crea, suona e registra musica, non possono farlo».
Il motivo, secondo Byrne, andrebbe ricercato proprio nella ridistribuzione dei guadagni derivanti dagli streaming: «storie di artisti popolari come Pharrell Williams che ricevono misere royalties a fronte di migliaia, se non milioni, di passaggi in streaming di brani (ad esempio Happy), sono ormai note. [..] Per gli artisti meno famosi la situazione è ancora più catastrofica. Per loro, vivere di musica in questo nuovo scenario sembra davvero impossibile». Alla base del problema, la scarsa trasparenza: «molti servizi di streaming sono alla mercé delle etichette discografiche (soprattutto le tre più grandi, ovvero Sony, Universal e Warner) e gli accordi presi tra le parti e non divulgati non garantiscono la dovuta trasparenza [sui guadagni]».
Byrne ha poi citato qualche esempio personale: «ho chiesto a Youtube come vengano ridistribuiti gli introiti derivanti dalle pubblicità posizionate all’interno dei video musicali (una domanda piuttosto banale). Mi è stato risposto che l’azienza non diffonde i dati precisi, ma che la percentuale di guadagni destinata a YouTube è meno della metà». Poche soddisfazioni anche sul fronte Apple Music: «ho chiesto loro di spiegarmi come venga fatto il calcolo delle royalties per il periodo di prova della piattaforma. Mi è stato risposto che sono dati che Apple può mostrare solo ai proprietari dei copyright (ovvero le etichette discografiche)».
Byrne ha inoltre fatto notare che i servizi di streaming garantiscono agli artisti royalties quantificabili circa nel 15%, esattamente come i CD e i vinili, nonostante l’industria degli streaming non debba sostenere i costi di fabbricazione tipici degli altri due formati di ascolto.
Per il resto dell’analisi, vi rimandiamo all’articolo originale. Certo è che un po’ di chiarezza, in questo senso, andrebbe fatta.
Fonte: www.sentireascoltare.com