Le Nostre Rubriche // Exitwell in esclusiva per il Mei: Indipendenti di fatto
Musica indipendente. Band indipendenti. Etichette indipendenti. Riviste indipendenti. Agenzie indipendenti. Ok, pausa. Un passo indietro.
Partiamo dalla definizione più semplice (e semplicistica) che si può dare al termine “musica indipendente”: in rapporto al mercato discografico si può definire musica indipendente quella produzione svincolata dal network delle case discografiche multinazionali (major).
Banale, sì, ma almeno è un punto di partenza.
Siamo quindi consapevoli che se la EMI ti produce un disco non sei indipendente. Sei indipendente se il disco te lo produce un’etichetta indipendente (quindi non una major) o se te lo produci da solo.
È una differenza che sta negli investimenti, sicuramente, ma anche nei canali e quindi nel pubblico che si riesce a raggiunge. E qui arriviamo al termine “maintream”, che nel linguaggio comune identifica quei prodotti che godono dell’attenzione del cosiddetto “grande pubblico”.
Oggi che l’autoproduzione è una possibilità concreta e relativamente semplice da attuare, cosa che ha semplificato la vita anche alle etichette indipendenti, questo tipo di mercato alternativo ha trovato una sua dimensione di massa tanto da creare quello che io chiamo il “mainstream dell’indipendente”, ovvero canali generati all’interno del mercato indipendente ma che riescono ad arrivare ad un pubblico che in alcuni casi si confonde con quel mainstream descritto in precedenza.
Questo aspetto è importante per capire come non si possa più parlare del mondo indipendente come del “cugino spiantato” del mainstream, quanto di una alternativa altrettanto valida, seppur non alimentata dagli stessi investimenti, che rappresenta in alcuni casi addirittura una scelta ben specifica. Non è infatti raro vedere artisti con una carriera alle spalle legata alle major decidere di auto prodursi o di affidarsi ad etichette indipendenti.
Come è normale che sia intorno a questo scenario si sono create nel tempo diverse realtà di promozione e di informazione, il cui proliferare è stato agevolato da quella stessa semplicità di autoproduzione che le moderne tecnologie consentono e che ha fatto esplodere l’intero movimento.
Ora, già è molto difficile collocare una band indipendente all’interno di questo scenario, ancor più complicato è farlo con attività quali uffici stampa, agenzie di booking, riviste, webzine ecc. Semplificando a livelli estremi: se un idraulico ripara il lavandino di Ligabue è maintream, ma se ripara il lavandino di Andrea Appino è indipendente? Ovvero: il fatto che una rivista (o altro tipo di attività) lavori nell’ambito del circuito indipendente la rende a sua volta indipendente? Indipendente da cosa?
Ci piace dare un’etichetta a tutto, anche quando non ce ne sarebbe bisogno, ma il problema grosso è che poi ci troviamo a discutere su appellativi dei quali non ci sarebbe reale necessità, che utilizziamo semplicemente per comodità, o in alcuni casi per sentirci appartenenti ad un gruppo, come quando alle medie ti mettevi quel giacchetto che andava di moda anche se era di tuo fratello e ti stava larghissimo, producendo un effetto ridicolo.
Diventa in questo modo difficile anche parlare di musica, fare scelte editoriali, distinguere tra cosa rientra nella propria “sfera di interesse” (o target) e cosa no. Spesso in redazione ci siamo trovati a discutere (anche animatamente) su alcuni artisti, senza mai arrivare ad una conclusione valida in senso assoluto, perché forse non esiste una conclusione valida in senso assoluto.
Per la copertina del nuovo numero (in uscita in questi giorni) abbiamo scelto The Niro, distribuzione Universal e fresco di partecipazione al Festival di Sanremo.
The Niro è indipendente? Ma soprattutto: è così importante che lo sia?
Francesco Galassi