Le Nostre Rubriche // Exitwell in esclusiva per il Mei: La vita è un palcoscenico?
La vita è un palcoscenico?
Per molti sembrerebbe di sì;
il narcisismo dilagante di questi anni ’10 ci sta rendendo sempre più assoggettati al giudizio altrui, al bisogno continuo e persistente di un briciolo di considerazione in più, alla ricerca della conferma che ciò che stiamo facendo, pensando, creando, sia una bella cosa o degna di attenzione. In due parole: “mi piace”.
Un vero e proprio tormento – e badate bene non tormentone – soprattutto per quanti si esibiscono frequentemente sia dal vivo che in rete. Un’annosa ricerca di visibilità che ci rende dei “conta commenti”, perché infatti, spesso per i più fortunati associato a un mi piace, troveremo magari anche uno o più commenti, a volte non troppo rassicuranti, ma ciò che importa è apparire.
Così il tempo perso aumenta, come quello tolto alla nostra attività quale essa sia, e la sensazione è di un indebolimento generale rispetto alla propria auto-percezione sempre meno obiettiva e dipendente dallo sguardo altrui; parlo soprattutto a chi “vive” l’ambiente musicale ma in realtà è un discorso estendibile a molti campi.
L’altra faccia della medaglia è un incremento della conoscenza degli strumenti della comunicazione web che in poco tempo sembrano renderci, proprio tutti, dei comunicatori virtuali, dei blogger, dei semi giornalisti e a volte addirittura ci porta ad autodefinirci degli “scrittori”.
Senza contare che il numero crescente di laureati, aventi una buona cultura di base, fermi a casa davanti al computer è oggi elevatissimo; un fenomeno che ovviamente contribuisce e allontana future personalità e possibili professionisti dai loro obiettivi e che li porta nell’oceano anarchico del web dove tutto è il contrario di tutto e vige il relativismo assoluto.
Ma lasciamo il mondo del virtuale e torniamo per un momento alla realtà, evidenziando che nel profilo del Narciso, spesso visto come un vincente, si abbatte invece un’incredibile solitudine che non viene meno purtroppo quand’egli affronta il palco o la scena in genere.
Ebbene lo vedremo tremare alla vista del pubblico, spesso non compreso dai colleghi, nonostante magari la lunga esperienza.
I narcisi avranno il peso di ogni singolo sguardo più o meno corrucciato, che sembrerà nella sua testa un nemico, un futuro “commento” da rendere positivo; e se per caso si dovesse fare una pessima performance non potremo tornare indietro perché nella realtà non si può modificare un’azione fatta, e questo aumenta la dose d’ansia, che fa sobbalzare il cuore fino a renderlo più forte del brusio delle persone.
Quest’abitudine di comunicare continuamente arroccati dietro il nostro computer ci fa diventare nostro malgrado dei mediocri comunicatori dal vivo, e nei casi peggiori ci rende addirittura sociopatici.
Per tornare al titolo, la vita non è secondo me un palcoscenico e non deve esserlo assolutamente, né nel bene né nel male, perché i rischi di star male e di fare confusione sono davvero alti.
Ma in realtà il punto è che neanche lo stesso palcoscenico è un posto di tortura ma al contrario parlare, cantare, suonare, recitare difronte alle persone dovrebbe essere un atto naturale che ci permette di dire la nostra senza l’assillo di venir giudicati: se ci occupassimo meno di cosa rappresentiamo, di come veniamo visti o paragonati, saremmo più rilassati e performanti; purtroppo però spesso la tendenza è all’opposto, diretta inconsciamente verso l’autocontrollo delle singole azioni e peggio ancora dei singoli pensieri.
È un meccanismo di autodifesa che si attua come gli anticorpi ci difendono dagli agenti esterni, con la differenza che l’esito non è sempre così positivo.
Il palco ripeto non è la vita reale, ma l’unica verosimiglianza che scorgo è che in entrambi i casi spostare l’attenzione sul parere esterno non serve ad essere migliori, ma al contrario ci inibirà e ci legherà le mani e la mente fino a farci bloccare.
Sergio Di Giangregorio
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