Le Nostre Rubriche // Exitwell in esclusiva per il Mei: L’arte di vivere di musica
Salve, mi chiamo Francesco Galassi , sognavo di fare il musicista e invece ho fondato una rivista musicale.
Alla voce “precario” del dizionario, tra i sinonimi, c’è anche “musicista”. Lo sappiamo tutti. Un mestiere che ha le potenzialità di portarti a guadagnare moltissimo, ma per dieci che ci riescono cento e più falliscono.
Chi però per la musica vive difficilmente si arrende a fare un onesto, comune, lavoro. No, non ci si può alzare la mattina, timbrare il cartellino, svolgere una mansione per le canoniche otto ore e poi tornare a casa per concludere la giornata davanti alla tv, per poi ripassare dal via come nel gioco dell’oca. La musica è la nostra vita e di quella dobbiamo campare. Punto.
Ecco così che nascono centinaia di manager, di etichette, di agenzie di booking, uffici stampa, studi di registrazione e chi più ne ha più ne metta.
Entri in facebook e ti appare la classica notifica “Mario Rossi ti ha invitato a cliccare mi piace alla sua nuova pagina Musicagenerica” ed è sempre la più innovativa, capace e professionale realtà italiana. Sempre. Praticamente mai.
Ora non voglio certo sparare nel mucchio, però una domanda sorge spontanea: abbiamo davvero bisogno di tutte queste figure professionali nel mondo musicale?
Parliamo di mercato del lavoro. C’è crisi, ok, quello lo sappiamo, non c’è bisogno di ripeterlo in ogni articolo (o forse sì), ma al di là di questo, da che mondo è mondo il mercato del lavoro si muove secondo il sistema più antico della società civile: la domanda e l’offerta.
Sebbene oggi ci sia in Italia un numero esagerato di band, il che fa pensare alla reale necessità di un numero sempre crescente di figure professionali, in realtà cala drasticamente la domanda da parte dei fruitori ultimi della musica, cioè del pubblico. È quindi evidente che chi della musica è intermediario, ossia elemento di passaggio tra chi la musica la crea e chi la musica la ascolta si ritrova spesso a lavorare su prodotti che un mercato non ce l’hanno.
Altra regola fondamentale del mercato del lavoro: la concorrenza abbassa i prezzi.
Nel mondo della musica indipendente di soldi ne girano già pochi, la torta è piccola e le fette sono tante. Questo crea due effetti principali:
1. Chi intraprende un’attività professionale all’interno del mondo della musica spesso non riesce a viverci e deve necessariamente svolgere parallelamente un altro lavoro che gli permetta di andare avanti.
2. Chi è oggettivamente molto bravo nel suo lavoro e non vuole svenderlo a prezzi da fame rischia di essere tagliato fuori.
Entrambi i punti portano inevitabilmente ad un abbassamento della qualità del lavoro, in un caso perché fare più cose insieme non garantisce di poter dedicare il giusto tempo a tutto, nell’altro perché ovviamente a lavorare di più saranno quelli il quale lavoro effettivamente vale quel che viene pagato.
A tirar le somme sembra che in effetti non solo non ci sia bisogno di una tale quantità di figure professionali, ma che il proliferare di queste non faccia altro che contribuire all’abbassamento della qualità globale del musica in Italia, ma la mia intenzione non è tanto demonizzare un certo tipo di atteggiamento nei confronti della “professione musica”, quanto quello di incentivare uno spirito che ho sempre suggerito anche ai musicisti emergenti e cioè l’onestà nei confronti dei propri mezzi e delle proprie qualità. Se ami la musica valuta bene le tue capacità prima di intasare un sistema già saturo.
Francesco Galassi
(musicista fallito e direttore di ExitWell)
www.exitwell.com