Le nostre rubriche // Guido Scorza – Agenda digitale: una poltrona vuota ed il futuro che resta lontano
Sedici Ministri, trentacinque sottosegretari, nove viceministri sono questi i numeri del Governo Renzi I, numeri ai quali, ne va aggiunto uno, preceduto da un segno negativo, ovvero quello del Ministro o del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che avrebbe dovuto occuparsi di Internet e di digitale.
E’ una poltrona – forse una delle più ingombranti e vistose – rimasta vuota.
Una stecca, una nota stonata, probabilmente, un errore per un Governo che dice di voler restituire un futuro al Paese.
Senza una governance, una regia, un coordinamento forte ed autorevole nella politica dell’innovazione e nell’attuazione dell’agenda digitale europea non c’è futuro per il Paese ed è davvero difficile credere che alla rumorosa assenza nelle fila del Governo di un responsabile delle cose di internet e del digitale si possa supplire tirando fuori dal cilindro coreografiche task force o muscolosi “mister agenda digitale”.
Ci ha già provato Enrico Letta e non ha funzionato o, almeno, ha funzionato poco.
Lo scrivo con rammarico – ma senza pentimenti né volontà di rimproverare nulla a nessuno – dopo aver avuto l’occasione e l’onore di sedere nella task force, coordinata da Francesco Caio, – Mister Agenda digitale appunto – e popolata da colleghi di straordinario valore, enorme competenza e, soprattutto, incommensurabile passione, tanto da dedicare tempo ed energie a realizzare quel poco che si è fatto per puro spirito di servizio verso il Paese.
I tecnici possono disegnare strategie, scrivere regolamenti, provare a segnare il cammino o raccontare cosa potrebbe diventare il nostro Paese se si decidesse davvero ad investire nella diffusione di Internet e del digitale.
Ma tocca poi alla politica trasformare sogni e progetti in realtà e se al timone dell’innovazione non c’è un responsabile – poco conta che sia un Ministro o un sottosegretario purché possa interagire trasversalmente e da pari grado con tutti i suoi colleghi di Governo – non accade nulla.
Probabilmente ha ragione Massimo Mantellini quando scrive che fatto il Governo, ormai, il dado è tratto ed è difficile sperare in una rivoluzione digitale della quale avremmo, invece, un disperato bisogno.
E non è, un caso, forse, se il Codice dell’Amministrazione digitale, unico ed ultimo tentativo di governo di medio-lungo periodo della politica dell’innovazione italiana, deve i suoi natali all’unico ed ultimo Ministro dell’innovazione – e non di “qualcos’altro” e dell’innovazione – che il Paese ha sin qui avuto.
Tante, troppe le ragioni per le quali un Ministro o, almeno, un Sottosegretario all’innovazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sarebbe stato davvero necessario.
Tanto per cominciare – ma non è forse, neppure, la più importante – l’Agenzia per l’Agenda digitale italiana che, faticosamente, nelle scorse settimane, ad oltre un anno dalla sua istituzione ha visto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il proprio Statuto, rischia di rimanere ancora impantanata perché, proprio lo Statuto, assegna alla Presidenza del Consiglio o al Ministro delegato all’innovazione una serie di scelte strategiche sul suo funzionamento e sulla sua attività, ivi inclusa, la nomina del Comitato di Indirizzo, senza il quale, l’Agenzia, non è, sostanzialmente, in grado di operare.
Ma non basta. Se si guarda allo scoreboard pubblicato dalla Commissione Europea per misurare lo stato di attuazione dell’agenda digitale nei diversi Paesi ci si imbatte in alcune immagini che offrono uno spaccato a dir poco emergenziale della situazione italiana in termini di utilizzo di Internet.
L’unico indicatore in relazione al quale superiamo la media europea è di carattere negativo e riguarda il numero dei cittadini che non hanno mai usato Internet.
Siamo, invece, largamente al di sotto della media europea in termini di cittadini che dispongono di una connessione a banda larga a casa, di cittadini che usano internet regolarmente e, naturalmente, di cittadini che la usano frequentemente.
Senza parlare poi della diffusione dei servizi di E-Gov, quelli della famosa e decantata – ma solo in occasione delle campagne elettorali e di qualche uscita autocelebrativa di qualche ministro della Funzione Pubblica – PA Digitale.
I cittadini e le imprese italiane utilizzano i servizi di e-gov per interagire con la pubblica amministrazione in misura enormemente inferiore rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa.
Ma, forse, in tempo di crisi economica e mentre la globalizzazione dei mercati spaventa a tal punto da spingere taluno a tirare fuori dal cilindro una folle idea come quella della webtax, una delle principali ragioni per le quali la poltrona dell’innovazione, nel Governo Renzi, non avrebbe dovuto rimanere vuota e che gli italiani, sfortunatamente, continuano a non usare internet per l’acquisto di beni e servizi e, ciò che è più grave, la nostra piccola e media impresa – che, pure, tanto avrebbe da vendere online, anche oltre confine – è lontana anni luce dai concorrenti europei in termini di ecommerce.
Questi numeri che rimbalzano impietosi da Bruxelles e che raccontano di una “disfatta digitale”, forse, avrebbero dovuto suggerire al neo-Premier – a costo di farsi carico di qualche mal di pancia in più tra gli alleati di Governo, di tradire il manuale Cencelli e, magari di rinunciare a qualche piccolo primato in termini di contenimento del numero dei Ministri – di riservare ben altra e ben diversa considerazione alle questioni del digitale.
Ma siamo solo all’inizio e, quindi, forse, vale la pena provare a dare un pizzico di fiducia ai nuovi inquilini di Palazzo Chigi, nella speranza che si rendano conto che tradirla, significa condannare definitivamente il Paese a diventare un’isola analogica alla deriva in un mondo digitale.
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